Martina Corgnati – Intervista col Coniglio

M= Martina Corgnati
B= Brice Coniglio

1 viola

M: Forse non è semplicissimo capire come cose così diverse, quali quelle che ConiglioViola ha fatto fino ad ora, riconducano in fondo a una visione del mondo unitaria; cercare di farlo potrebbe essere uno scopo di questo dialogo. A proposito: l’artista deve avere delle certezze o delle visioni? B: Non ho certezze o teorie generali in proposito.

M: ma a me le teorie generali non interessano. Io voglio parlare di te. Che cos’è ConiglioViola per te? B: non è semplicissimo parlarne… voglio dire: io penso che ConiglioViola fosse una specie di progetto… un messaggio d’amore o comunque un messaggio, una controfigura per me… anche se in origine ConiglioViola non riguarda solo la mia persona ma era anche una specie di figlio

M: tu ti chiami Coniglio, no? B: sì, sì, io mi chiamo Coniglio… e poi mi vestivo spesso di viola – benché forse preferisca l’indaco – quando agivo in prima persona avevo una specie di coperta di Linus che era un cilindro viola; perché è un colore strano…

M: da non nominare mai in teatro; peggio del 13, gatti neri, qualunque cosa… B: Lo dicono… ci ho pensato più volte … però è un colore ai margini e questo è quel che conta

M: che evoca molte cose B: È connesso a una parte che sento mia: non essere mai completamente dentro né mai completamente fuori; un ruolo che corrisponde molto a qualcosa che io mi sento o mi sono sentito nella mia vita, una figura un po’ borderline. Questo è all’origine di una grande sofferenza ma anche di un punto di vista, qualcosa che mi permette di avere sempre una visione particolare – non mi piace questa parola “particolare” – eppure molti si sentono speciali senza avere provato il peso della differenza.

M: è una grande forza B: È una causa appunto di sofferenza e però ti permette di vedere… credo che questo sia in qualche misura il mio dovere. Mi spiego – ci provo : io voglio fare questo lavoro che tu chiami d’artista, so che è anche un mestiere, ma credo che innanzitutto e prima di questo il mio dovere sia di cercare, quello che devo fare – lo dico umilmente – cercare di guardare le cose da un altro punto di vista. Una possibilità che non è data a tutti; fortunatamente per i tutti

M: Non trovi che questa sia sempre la posizione dell’artista? B: Sì dovrebbe ; ma non lo riscontro nella figura dell’artista in quanto mestierante che, come tale, sta già molto, troppo dentro alle cose. La lateralità è pesante, faticosa. È una specie di dovere sacerdotale: che appartiene all’artista, al mago, al filosofo, al carcerato. Figure a metà fra la solitudine e gli altri. Allora questo è il viola.

2 coniglio ante viola

M: come sei diventato artista? B: Io non ho mai pensato di fare l’artista in vita mia, benché fossi una di quelle persone cui si attribuiva il carattere tipico, il clichè del pagliaccio… ma in realtà per me l’inizio della vita artistica ha coinciso con il mio sottrarmi alla vita in prima persona

M: Cosa facevi quando vivevi in prima persona studiavi all’università, no? facevi filosofia… B: Lettere. Ma no, non facevo niente di speciale, è stato soltanto un momento magico della vita… ero molto dadaista

M: Nel senso di rompere, di non accettare… B: Sì, ero molto divertente. Facevo cose abbastanza surreali, per esempio con le persone che incontravo per strada… perché era proprio il mio modo di comunicare, folle, naïf

M: In quanto non era una posa B: No, non lo era, poteva diventarlo perchè entravano in gioco meccanismi teatrali utili all’inizio ma poi fin troppo facili. Però credo esista una differenza sostanziale tra maschera e personaggio. La maschera serve a celare, copre il viso, si toglie e si mette all’occorrenza. Del personaggio è invece non ti puoi liberare, è una veste attillata sull’anima, non un nascondiglio ma un’armatura che ti permette di manifestarti autenticamente.

M: Ti divertivi però a sobillare, volevi attirare l’attenzione? B: Sì, certo, ma la cosa più significativa per me era fare qualcosa di non opportuno in un determinato contesto per osservare le reazioni che suscitavo e, in un certo senso, entrare davvero in contatto con le persone in maniera non convenzionale

M: ma perché? B: perchè non sono sicuro delle convenzioni, cioè non sono sicuro della sincerità, stringere la mano a qualcuno, essere presentato… non sono, non ero sicuro che quando qualcuno saluta lo voglia fare davvero, ci sia, abbia senso.

M: Hai ragione B: Ho, avevo il terrore che non ci sia sincerità in tutti i gesti che sono in qualche modo previsti. E io avevo l’assoluto bisogno di essere sicuro della sincerità di qualunque cosa facessi. Adesso questo bisogno è meno forte cosa che, se ci pensi, è drammatica!

M: Ma cosa volevi fare da grande? B: Tutto tranne l’artista, l’artista visivo: quello che faccio.

M: Ma perchè? B: non so disegnare, non ho nessuna manualità – …proprio sporco i fogli, non sono capace. Anzi, sai cosa, non credo di avere un talento specifico per nulla…

M: Però sei un genio del computer, no? B: Mah forse per puro caso, io non avevo mai avuto computer, è arrivato nella mia vita proprio come una cosa che avevo sempre tenuto lontana.

M: e la musica? B: …forse la forma d’arte più potente

M: quella che tu ami di più, comunque B: Sì, anche se io non sono uno che ne ascolta moltissima in realtà, perché non posso, se ascolto musica non riesco a fare altro.

M: Che musica ti piace? Gli anni 80 italiani ad esempio? questo è diventato addirittura un tuo progetto, Recuperate Le Vostre Radici Quadrate B: Sì è un progetto… Ma insomma: la domanda è sgradita e rispondo in modo formale.Amo qualunque forma di musica abbia una qualche teatralità intrinseca… Questo concetto collega espressioni anche molto distanti. Basta.

3 la stessa dimensione di straniero

M: Ti piace viaggiare? B: Sì, il viaggio faceva parte di questo modo di sperimentare il mondo: perché solo nel viaggio potevo vivere fino in fondo e in maniera assolutamente giustificata la stessa dimensione di straniero che sentivo anche a casa mia. Però a casa questo atteggiamento poteva avere dei risvolti problematici, specie in alcuni anni della mia vita, mentre in viaggio era assolutamente legittimo.

M: Viaggiavi un po’ così B: Viaggiavo sempre da solo.Partivo senza soldi non sapendo mai quando sarei tornato… viaggiavo cercando qualcosa, ma nulla di preciso… niente, così.

M: Niente di fondamentale comunque, non è stato così decisivo per te come artista… B: No! perchè io non ero un artista, non ho mai pensato di fare l’artista e soltanto dopo tre anni che di fatto facevo l’artista, ho scoperto che quello che stavo facendo poteva diventare un mestiere. La distinzione è d’obbligo per me!

M: Scusa, quando hai cominciato a fare l’artista? B: Quando ho cambiato punto di vista. Semplicemente: mi trovo a un certo punto in una condizione di vita diversa, in una città non mia, piccola, molto convenzionale, in un ambiente diciamo anche ostile e contemporaneamente, come via di fuga, scopro delle forme di socialità “sostitutive”, come internet. Non solo, ma che mi permettevano, per la prima volta nella mia esistenza, di realizzare qualcosa di concreto e quasi tangibile, quindi di non essere solo uno che parlava e pensava molto; ma uno che poteva dare forma ad alcune idee molto semplicemente e senza costi. Da lì ho cominciato a fare l’artista, o meglio a produrre dei lavori.

M: Quando? B: Questo era il 2000, 2001. Avevo ricevuto in adozione un computer e un parente mi aveva chiesto di cercare qualcuno che potesse realizzare un sito web… alla fine ho imparato a farli io. Era un sito di ricambi per TIR: oggetti strani e bellissimi! veramente bellissimi. Fare siti, allora era qualcosa di nuovo, ti permetteva di creare quasi delle sceneggiature teatrali dove però restavano una serie di incognite, relative a chi quando e come avrebbe calcato quella specie di palcoscenico privato. Ecco. A questo punto ho cominciato a seguire progetti miei in rete, e che cosa pensavo… qual era il mio tornaconto? pensavo: ah, magari diventerò un grafico e questi progetti strani mi faranno pubblicità… perché quella è arrivata subito, l’attenzione dei media

M: come hai fatto a ottenerla? B: Sfornando una serie di esperimenti molto curiosi, tra gli altri un sito foot-fetish, un sito pseudo-pornografico, Pornella, il sito dei Modho, e una specie di casa virtuale. E poi “La meditazione di Yolanda”, in assoluto il primo sito per meditare on line. Un’intuizione secondo me importante

M: In che anno? B: Nel 2001, vivevo a Barcellona. Si entra nel sito guidati dal robot di Metropolis, ribattezzato Yolanda. Volevo insinuare l’idea che internet potesse diventare una protesi non solo della memoria ma in qualche modo degli strati più profondi della coscienza. Credo che il tempo mi abbia dato ragione.

4 il genio della rete

B: Questo è stato l’esordio. Cui seguono altri progetti net.art, uno molto bello si chiama Secret.room, poi Un’estate al mare… ognuno indagava qualcosa di diverso.

M: Come si svolgeva il lavoro? B: L’utilizzo delle tecnologie era inconsueto. Perché all’inizio tutte le nuove tecnologie si applicano automaticamente.Pensa alle trasmissioni tv degli anni ’80, gli effetti speciali si inserivano semplicemente perché erano la novità. Invece da subito ConiglioViola ha utilizzato, per esempio, Flash senza la grafica di Flash. Da qui è nata anche la prima sperimentazione con i video; la trilogia “Dis.soluzioni” sulle tracce del disco dei Modho, creata semplicemente animando fotografie in Flash. Questi lavori, fatti con mezzi poverissimi e che nessuno ha più visto conservano ancora oggi la loro poesia. Quello che mi interessa sempre però è avere un rapporto agonistico con il software perché quando lavori con il digitale il software è sempre un tuo coautore silenzioso, bisogna quindi usarlo senza lasciarsi usare

M: Anche in questo caso borderline, trasversale B: Sì, e spesso agire così ti permette di essere in anticipo. Dopo tre anni infatti questo modo di fare grafica è diventato lo stile dominante sul web. Anche Recuperate Le Vostre Radici Quadrate è nato due forse tre anni prima che in Italia tutti si scatenassero con gli anni 80. Lo stesso accade per Nous deux con la stereoscopia. Oppure la body-art digitale per trasformarsi in bambini.

M: A questo punto tu sei un, diciamo pure, geniale sperimentatore informatico… B: mi interessa la magia, no? E io sostengo che esista una radicale affinità tra digitale e spirituale… intanto perchè hanno a che fare con l’immaterialità. Il mio rapporto con l’arte prende le mosse dal digitale, inteso come metalinguaggio, una sorta di codice metafisico per ordinare la realtà.

M: cosa vuoi dire? B: la pittura si misura con i colori; la scultura si misura con la pietra; qualunque tecnica si misura con un materiale mentre l’arte digitale si misura con un linguaggio fatto di zero-uno, zero-uno, immateriale, numerico, appunto metalinguaggio… A me interessa questo e la possibilità che mi dà, cioè di declinare la medesima idea in ogni forma. La stesso “verbo” che si fa musica, video, fotografia e quindi assume anche forme del tutto diverse: teatro, installazione… opera! l’arte multimediale per eccellenza. Quindi il digitale diviene lo strumento per ritornare anche a una dimensione di questo tipo, direi rinascimentale… e anche è il mezzo con ho risolto il dilemma del “cosa farò da grande”, l’incubo di dovermi specializzare o di esser definito dal mio mestiere

5 creare mondi condivisibili

B: L’arte per me è legata a dimensioni operative di questo tipo. Praticarla vuol dire essere mago: mi interessa la figura del mago, il suo “stare fuori” che si fa carico della sofferenza degli altri

M: il mago come l’analista? B: No, l’analista no, l’analista ha strumenti per tenere lontane le cose…

M: L’analista è razionale B: e il mago immaginifico, corre dei rischi. Yolanda è un progetto riferito a una dimensione mistica ma anche il video “Rebus” è una specie di operazione magica, una prova iniziatica da superare per guadagnarsi l’accesso all’opera. Poi c’è l’idea dell’immersione, portare la gente, farla immergere dentro mondi altri. “Fare Mondi” come dice Birnbaum.

M: di nuovo, questo è un problema generale dell’arte B: Per me c’era questa posizione un po’ da mago – e in questo ConiglioViola mi assomiglia: come ConiglioViola sta nell’arte così sono io nel mondo – molto al centro e molto eccentrico

M: L’impressione che ho da te è che tu sia timido. Sul serio! – che tu sia ovviamente un consumato seduttore ma uno che mette in gioco qualcosa di autentico di non in posa. C’è tutto un gioco un ammiccamento – ma questa posizione di eccentricità è forse legata anche alla timidezza – uno che è timido è anche un po’ eccentrico no? Sta per forza al margine, perché ha paura e non è sicuro, però è anche centrale, un po’ bambino ma anche molto adulto, cioè capace di assumersi delle responsabilità. E nel lavoro tu ti sei assunto moltissima responsabilità B: Infatti per me quel modo essere così “fuori” era una risposta alla mia timidezza. All’inizio io sfidavo continuamente il limite, la mia difficoltà, poi lentamente si sono interposte delle cose fra me e il mondo e allora, quando mi sono trovato circondato da questa cinta muraria, allora l’arte è diventata il mio sostituto della relazione diretta. Lo dico con grande dispiacere ma io ho scelto questo, l’ho voluto.

M: Quindi ConiglioViola! B: solo che poi mi è cominciata a mancare quella sofferenza, questa distruttività positiva, perché in fondo rivolta contro la barriera, contro il limite. Ho bisogno di complicità, di portare qualcuno nel mio mondo sempre, ahimè!, nella vita o nell’arte – ho bisogno che chi viene a vedere il mio lavoro entri in un altro mondo. Un tempo cercavo di portarmi le persone, di coinvolgerle totalmente, cercavo l’osmosi totale, un dare totale – può darsi però che adesso abbia meno fiducia in questa possibilità. Sono molto cambiato?

M: quanta fiducia tu abbia io non lo so. Però il tuo progetto forse più lirico e più suggestivo secondo me tocca proprio questo tasto, è costruito sulla condivisione come strategia narrativa oltre che autobiografica… sto parlando di Nous Deux.
B: un momento, per parlare di questo devo tornare un attimo a ConiglioViola che infatti è partito da una mia idea, da una mia esigenza, e all’inizio era quasi come una creatura anonima che muoveva le sue zampette per la rete, senza che nessuno sapesse chi l’avesse partorita.
A un certo punto ho sentito però la voglia di condividere questo progetto con la persona che mi era più vicina. C’era questa ossessione del due, per me un numero perfetto e impossibile, come ha detto la mia astrologa. Allora ecco io volevo andare oltre il sogno del “per sempre”. Ogni artista tende a proiettarsi nel futuro, perchè la sua opera inevitabilmente gli sopravvive. A me questo non bastava così ho voluto proiettare la storia che stavo vivendo, artistica o personale, per me è lo stesso!, anche nel passato, così che si potesse davvero dire “per sempre”.
“Nous deux”
è una autobiografia immaginaria. Mia e del fu mio complice di scorribande. Sono undici immagini (perchè 1+1=2) che raccontano la storia di due bambini terribili, noi due appunto. Sono state realizzate manipolando foto attuali, attraverso quella che definisco una body art digitale , già sperimentata un anno prima con il video Romantici. Infine le undici opere sono state esposte utilizzando la stereoscopia, una tecnica antichissima che ancora una volta si richiama al due…
Quante volte, quando incontriamo qualcuno di importante a un certo punto della nostra vita ci chiediamo… cosa sarebbe successo se ci fossimo incontrati altrove, in un altro tempo, in un’altra età? è il dramma di poter vivere una sola esistenza, una sola cosa per volta, qualcosa che mi ha sempre ossessionato (e credo che ConiglioViola un po’ lo dimostri..). E’ anche la dialettica dei mondi possibili. Allora l’arte per me serve a questo, a vivere anche le vite che non ho vissuto oltre che a scappare dalla mia. Prima nel giardino del PAC tu mi citavi la frase  di Battiato… “abbandonare il pianeta”.
Il centro di Nous deux è costituito da un’immagine, tenera ma durissima, dei due bambini en prison che ricorre anche nel video Le vent nous portera. La prigione è qui la metafora proprio dell’esistenza nella sua determinatezza, nel suo essere una Bastiglia… e l’arte è la mongolfiera-coniglia su cui i due bambini sognano di fuggire.

M: Brice, ora parli di te o del tuo lavoro? B: il punto è: a me non interessa documentare qualcosa che c’è nel mio cervello, questo è veramente poco interessante, voglio, spero di creare mondi condivisibili.

6 il pubblico è fondamentale

B: Più divento grande nel mondo dell’arte più acquisisco parametri, strumenti e tattiche. Non penso sia sbagliato perché, se devo condividere un mondo, almeno adesso ho idea che tipo di mondo condividere, che requisiti debba avere questo mondo per poter essere condiviso e utilizzabile, metabolizzabile dal sistema dell’arte. Tutto questo è l’estetica, è l’apparire, il modo in cui un’idea diventa fenomeno – è stupido dirlo. Devo fare in modo di creare dei ponti con le persone che mi circondano. Perché il pubblico è fondamentale nel mio lavoro, questo sia chiaro!

M: È fondamentale anche nella tua vita B: Sì ma… ecco, molti artisti non lo dicono ma il pubblico è sempre fondamentale, anzi trovo che per quelli che non lo dicono sia ancor più fondamentale.

M: quale pubblico? B: da non molto è cambiata la mia idea delle persone con cui dialogare perché nel mondo dell’arte c’è un pubblico diverso da quello che praticavo prima, indifferenziato. Questo l’ho scoperto poco alla volta. Io credo che il lavoro debba essere accessibile, l’arte vicina alle cose … Ma questo è un altro discorso. Vedi invece nel mondo dell’arte contemporanea accade spesso che “l’apparire” di un’opera finisca per nasconderne il contenuto, è questo è a causa di un facile pregiudizio, di un limite di molti addetti ai lavori.
Io invece trovo che sia proprio in questo equilibrio difficile tra apparente e nascosto che vada cercata la vera opera d’arte. Per esempio Recuperate, che giocava anche con la musica, con canzoni note, e che era un progetto molto complesso… paradossalmente è stato più difficile per il pubblico dell’arte che per un pubblico “normale”

M: Cosa intendi per pubblico normale? B: Un pubblico indifferenziato – quello cui ho accesso quando il mio lavoro diventa per esempio anche spettacolo teatrale. In quelle situazioni ho visto di tutto, dai vecchietti del Grinzane Festival ai ragazzini di 15 anni che non conoscevano neanche le canzoni che stavamo rifacendo e pensavano che fossero pezzi nuovi…

7 TV gonfiabili

M: tornando a Recuperate, cosa c’entrano le radici quadrate? B: Il titolo è nonsense; mi piaceva il gioco di parole senza dubbio, poi gli effetti speciali, l’allusione alla matematica.

M: perché gli anni Ottanta? B: L’ultima epoca mitologica! E poi c’è il mio amore per le donne di quel periodo, mi piaceva certo la musica ma in particolare mi interessava il mito aleggiante di queste figure. A differenza di Vezzoli, che mi è sempre stato accostato per questo progetto, qui si tratta non di una rievocazione nostalgica ma di proporre una dialettica con il presente. In quest’epoca, a differenza della nostra, queste figure femminili erano mitiche, erano là, come dei simboli. E mi volevo riferire in maniera esplicita al repertorio italiano, locale – perché volevo usare la cosa mia e non fare quello che usa le canzoni straniere. Queste interpreti veicolavano un rapporto forte fra la musica e l’immagine – e quindi fra il dionisiaco e l’apollineo alla fine. E questo ha la forza di fare identità.

M: Non hai mai fatto videoclip? B: Alcuni, uno molto divertente con Loredana Bertè. Però preferisco rimanere artista, così nessuno mi dice di far vedere le chitarre e nessuno mi chiede… fra l’altro mi chiederebbero di sicuro di fare il video di pezzi che non mi piacciono e no!, questo è impossibile. Quindi ho fatto video di canzoni che non l’avevano mai avuto. Recuperate infatti riprendeva proprio quel rapporto fra musica e immagine, tipicamente anni ’80 ma anche mio: dove alla musica che ti immerge in un mondo indistinto, in cui vivono in potenza mille immagini, ne viene associata una soltanto in base a una scelta precisa. Scelta precisa per una cosa che può essere infinita e, tuttavia, una porta aperta al flusso dell’identificazione.

M: oggi questa relazione si è spezzata. Cosa pensi del Grande Fratello? B: penso che sia una stronzata geniale, come trasmissione fa schifo ma l’idea fu appunto uno spartiacque. Qui la TV come specchio del quotidiano, e prima la TV come teatro, dove assisto a qualcosa che mi è “superiore”: per ritornare lì in un certo senso ho fatto Recuperate. Al modo esortativo. Come scenografia dello spettacolo ho messo un’enorme TV gonfiabile, quella che appunto conteneva il teatro

M: Carina l’idea B: Le cose carine a volte si fanno perché la scenografia deve entrare nel cofano.

8 musica da parati

M: anche il coniglio è gonfiabile? B: Il coniglio è nato prima della TV? non ricordo più…

M: Perché è grande questo coniglio, qui dentro per esempio, nella stanza in cui parliamo, non ci starebbe B: Nooo…

M: Perché l’hai fatto così grande? B: Megalomania

M: L’hai fatto per Venezia… B: No, in realtà era nato già prima, per la Biennale dei Giovani Artisti a Napoli. Il coniglio allora aveva una pancia verde e le persone potevano entrare lì ad amoreggiare. Usando il chroma-key proiettavo all’esterno le scene su sfondi surreali.

M: Si fa l’amore nella pancia dei conigli in genere o perché i conigli fanno tanto l’amore o… perché verde? B: Perché col verde o col blu puoi fare i chroma-key, la tecnica che uso per i miei video. Questo però era tutto dal vivo – era un VJSet – tipico di quando remixi le tue immagini dal vivo, le proietti, non le trattieni ma le lasci scorrere… è un po’ faticoso come lavoro ma io trovavo che questo VJSet,  all’epoca molto in voga, funzionasse un po’ come una carta da parati, il che è giusto dato che anche la musica del DJ non è che carta da parati. Non lo dico in senso negativo, anzi è stato proprio un passaggio storico: la musica che diventa colonna sonora cioè continuum – mentre prima la composizione aveva un inizio una fine, una struttura, in crescendo. Invece il DJSet è un loop. Allora: musica da parati. Per fare un set che entrasse di più nelle persone facevo entrare le persone dentro al set. E quindi li trasformavo in protagonisti.

9 dall’altra sponda del mare

B: E questa è la nascita del Coniglio. Poi il Coniglio ha avuto un nome: ho chiesto a una ragazza, durante una mostra, come battezzarlo e lei ha suggerito: Gesù. Profetica. Infatti quando nel 2007 volevo fare rumore alla Biennale di Venezia avevo deciso di farlo “camminare” sulle acque, mettergli le ali, la benda da pirata e trasformarlo in un pirata, che faceva il verso al Leone di San Marco e che…

M: Perché, il leone di San Marco era un pirata? B: Era una parodia – aveva le ali. Dal punto di vista allegorico, il coniglio e il leone sono agli antipodi, uno è il coraggio e l’altro è la codardia, no? Allora guarda, io ti faccio un coniglio più aggressivo di questo leone. Il leone in questo caso diventava simbolo del sistema dell’arte e …

M: Eri già stufo o volevi ancora ribaltare gli stereotipi? B: Volevo un Coniglio feroce più di questo Leone. Che mi pareva stanco, bendato, chino su se stesso. Ecco allora un gesto spettacolare, divertente, anche autobiografico, perché io mi sentivo così, io penso di essere arrivato all’arte dall’altra sponda del mare, che non si sa bene quale sia. Sei nel mare, da dove sei partito non lo sai… ma sei arrivato lì e io volevo arrivare così: con un progetto festoso ma critico, esplosivo ed eclatante, distruttivo ed eclatante: così è ConiglioViola, come lo vedo io.
L’attacco era rivolto all’arte – un avvertimento: guardate, l’arte deve guardare fuori, non solo se stessa. È terribile quando l’arte guarda solo se stessa, è un meccanismo narcisistico …e tu sai che fine ha fatto Narciso

M: è caduto nella fontana B: Si suicida a furia di innamorarsi di sé, di citarsi…

M: Non è un rischio che tu corri? B: Perché.. io? e sì, tutti lo corriamo! Certo. Però io cerco di non trarre ispirazione dal sistema ma sempre da qualcosa che sta lì fuori…

M: Prima ti ho detto una cosa che non so bene perché ti ho detto anche se ne sono profondamente convinta: la questione della responsabilità – secondo me sei molto responsabile, quando fai un progetto non ti fermi di fronte a niente, investi di tutto, vuoi tantissimo e usi tantissimi linguaggi diversi. In altre parole: hai bisogno di fare veramente qualcosa di pieno, non per te ma per l’altro. Questo è essere responsabile B: …

M: Tu vuoi che chi arriva davanti al tuo lavoro, nel tuo lavoro sia felice B: Sì. Felice o comunque che … questo è il ruolo dell’arte. Se no a cosa serve? non è un libro di filosofia, l’arte. Se fosse un trattato… sarebbe davvero un trattato mal riuscito… allora quando trovo artisti che pensano di spiegarti qualcosa o di fare un documentario mah! cos’è? c’è qualcuno che lo fa meglio di voi, questo. Non riesco a trovare, per quanto sia di moda, lo è ancora boh! fare documentari o spiegare idee… non mi interessano. Invece: il lavoro deve destare cose, agganciarti o ingaggiarti, rivelare, avvolgere, spalancare. Si lavora attraverso la meraviglia.

10 attraverso la meraviglia

M: Tu produci performance ma non agisci in prima persona B: Ma questo dipende. Ma no, potrei anche agire io in prima persona, ma forse sono troppo timido, adesso. Una volta facevo performance tutti i giorni, senza palcoscenico quindi più rischiose … facevo dei gesti, rischiavo anche di farmi picchiare a volte, poi non mi picchiavano, non so perché in realtà, forse si capiva che il gesto era innocente, credo. In ogni caso la performance mi interessa fino a un certo punto: l’unica che ho veramente fatto è l’attacco pirata.  Il resto per me è teatro. Quindi se produco veri spettacoli teatrali voglio che in scena ci siano veri professionisti.

M: però hai rischiato in un’altra maniera, quando una tua opera è stata addirittura al centro di uno scandalo nazionale e ha causato la cancellazione di una mostra… Ecce Trans ha sollevato un polverone pazzesco, ne hanno parlato tutti, ha prodotto liti, prese di posizione, commenti inferociti, special televisivi. Quella volta l’hai fatta grossa. Io non amo affatto la provocazione fine a se stessa di cui l’arte contemporanea è strapiena: anzi la considero un sintomo della sua debolezza, della sua crisi, del suo vuoto. Mi spieghi un po’, dunque, cosa volevi fare tu??
B: Pasolini diceva che l’opera di un artista quando è onesta desta sempre scandalo perché il suo sguardo irrompe dissonante nella vita degli uomini. Vedi, quando fui invitato a partecipare a quella mostra  pensai di essere, tra gli artisti esposti, uno dei pochi viventi e quindi che fosse mio preciso dovere dire qualcosa sull’oggi. Neppure a me importa nulla delle provocazioni gratuite! le provocazioni sono tali solo quando servono a rivelare la verità, altrimenti sono becere offese, facili, inutili, e oggi nemmeno si scontano più, anzi portano solo pubblicità! Invece, ecco, c’era da esprimere un’emergenza e io avevo la vetrina per farlo, e in quell’anno (2007?) la questione gay era una delle spine della politica italiana. Allora, parlando delle sessualità, io ho voluto  concentrarmi in particolare sul “trans”, che ritengo sia l’unica figura realmente non integrata, ai margini del nostro mondo. Era scoppiato quel caso ridicolo, una semplice foto in cui Sircana, magari casualmente, passava in auto vicino a un trans aveva destato un tale scandalo… La foto era stata acquistata al paparazzo che l’aveva scattata da un grosso editore che però poi non l’aveva pubblicata… Così ripresi quella foto da internet e con una banale manipolazione sostituii al trans la figura di Cristo, ispirandomi a un passo del Vangelo Secondo Matteo, non a caso amato da Pasolini. E ne è nata l’unica opera di carattere sociale/politico del mio percorso. Gesù, che in primo luogo fu un grande provocatore, un ribelle, ci dice qui che in ogni persona “ai margini” possiamo riconoscere la sua figura. Ecco che allora il trans in questione, oggetto di un tale scalpore, diventava per me una perfetta Imago Christi. Ma in più c’era un altro livello. Sulla foto avevo voluto applicare l’etichetta con il prezzo, €100.000, lo stesso a cui fu acquistata la paparazzata originale. Qui si trattava di puntare il dito contro la stupidità del giornalismo contemporaneo che si alimenta di facili scoop per confondere la nostra attenzione, e sottolineare come l’artista possa essere autore di uno scoop ben più clamoroso (in vendita allo stesso prezzo dell’orinale e con il prezzo ben in vista!) perché la sua macchina fotografica, anche quando è puntata sulla realtà, cattura particolari che sfuggono allo sguardo comune. In fondo il clamore che Ecce Trans ha destato dimostra che ho centrato il bersaglio… ma lo scandalo non risiedeva nell’opera, ortodossa, fedele al Vangelo, bensì nel giudizio di chi l’ha condannata facendosi scudo di un facile e ipocrita moralismo.

M: hai pagato un bel prezzo per tutto questo B: …i commercianti onesti guadagnano sempre qualcosa in meno!

M: e oggi cosa vuoi fare? B: Voglio inventare un vascello – non più un pedalò – un vascello pirata, volante, non lo so, con quante più persone possibili, ciascuna con quello che può portare. Voglio essere ancora più multimediale in un certo senso: è difficilissimo dal punto di vista pratico ma risponde al mio bisogno. Tracciare nuove rotte per la meraviglia.

2 Risposte a “Martina Corgnati – Intervista col Coniglio

  • Israel Rbinovitz
    13 anni fa

    Dear Martina
    Years ago we did some project, show, toghter in catangia
    like to renew our contact

    Best regards
    Israel

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